Presentazione della mozione 'Per tornare a vincere'
Per tornare a vincere.
Premessa:
1. Le ragioni sociali, politiche, ideali della sconfitta
2. Un Congresso di radicale svolta e discontinuità politica
3. I Ds e la società italiana
4. Una sinistra dei lavori, dei valori e della sostenibilità ambientale
5. Ricostruire e allargare l’opposizione, in Parlamento, nel
territorio, nei luoghi di lavoro
6. Un riformismo forte: un mondo più equo e più giusto, un’Europa
più democratica. Economia ed ecologia si tengono
7. Un riformismo forte: un’altra modernizzazione
8. Tornare a vincere: la sinistra e l’Ulivo
9. Tornare a vincere: il partito dei noi, non dell’io
PERCHE’ QUESTO DOCUMENTO
Questo documento è proposto da compagne e compagni che hanno avuto posizioni
e percorsi diversi nel partito a partire dal Congresso di Torino.
Quello che ci muove è una grandissima preoccupazione per la crisi dei Ds e
la sconfitta dell’Ulivo. In pericolo oggi è la sopravvivenza, l’autonomia e
il futuro della sinistra italiana. Per evitare questo declino è necessaria
una svolta profonda sul piano politico, sociale e culturale.
La svolta è possibile attraverso un bilancio dell’esperienza di questi anni
che sappia vedere gli importanti risultati raggiunti ma anche i limiti e gli
errori che ci sono stati, e su questa base costruire quelle scelte
strategiche che permettano di dare speranza alla sinistra italiana.
La sconfitta elettorale è uno spartiacque per tutti noi. Tutto è in
discussione e non è più possibile rimanere rinchiusi nelle vecchie
sicurezze. Essere più di sinistra, per noi, vuol dire essere più chiari e
riconoscibili nella nostra idea di società, nella nostra alternativa alla
destra.
Per questo abbiamo deciso di incontrarci per cercare strade nuove. Vogliamo
contribuire a costruire un Congresso vero, che nel rispetto e nel reciproco
ascolto, sappia parlare a tutto il partito, al nostro elettorato e al Paese
intero. Sottoponiamo agli iscritti una piattaforma politica e programmatica,
aperta al contributo di coloro che vorranno aderirvi, per dare una
maggioranza di centrosinistra al partito.
Un Congresso libero che rompa ogni forma di conformismo, di burocratismo che
nascevano anche da una vita interna asfittica costruita su un grande centro
“che era il partito”, e poi due ali che erano il dissenso. Anche così, con
questa nostra scelta di incontrarci, contribuiamo a fare diventare il nostro
partito un vero partito del socialismo europeo.
Premessa.
Il prossimo Congresso di novembre dovrà segnare una radicale discontinuità
di indirizzi e di comportamenti politici da parte dei Ds. Questa
consapevolezza è oggi largamente condivisa nel partito. Ma la discontinuità
con il passato non può essere un mero espediente tattico e verbale, bensì il
frutto di un’analisi severa e rigorosa delle cause della sconfitta
dell’Ulivo, del nostro partito, della sinistra nel suo complesso. E a nostro
avviso discontinuità vuol dire anzitutto superare i seri limiti rispetto
all’identità dei Ds come forza di sinistra, convinta delle proprie ragioni e
profondamente radicata nel socialismo europeo.
Il successo di una politica, di un’alleanza, di un partito dipendono tanto
dai contenuti e dai valori per i quali ci si impegna, quanto dalla coerenza
e dalla credibilità con i quali quei contenuti e quei valori vengono
perseguiti. Noi siamo stati, nell’ultimo decennio, deficitari, incerti ed
oscillanti su entrambi questi fronti.
Le ragioni sociali, politiche, ideali della sconfitta.
L’Ulivo nel maggioritario ha recuperato e mobilitato consensi importanti
negli ultimi mesi di campagna elettorale. Ma ha pesato nella sconfitta
l’incapacità di costruire alleanze più ampie tra le forze che si opponevano
a Berlusconi.
Non ci sono state solo sottovalutazioni ed errori tattici. Ci sono,
innanzitutto, ragioni sociali, all’origine della nostra sconfitta. I dati
elettorali degli ultimi anni ci dicono chiaramente che il nostro
insediamento popolare e democratico è gravemente incrinato: nel mondo del
lavoro, tra gli anziani, nel Mezzogiorno del Paese, tra i giovani e le
donne.
Ci sono stati gravi errori e responsabilità da parte del partito e ritardi
anche nell’azione di governo che non possono essere sottaciuti.
L’azione del governo ha raggiunto risultati positivi, e per molti versi di
grande rilievo. In tanti campi dell’economia, della società, della cultura
sono stati avviati cambiamenti imponenti. Tuttavia solo con l’obiettivo
dell’Euro e del risanamento è stata piena la capacità di coinvolgere la
coscienza degli italiani e di acquisirne il consenso, pur di fronte a
pesanti sacrifici. Ma molte parti della società italiana, a partire da
quelle più deboli, non hanno capito le nostre timidezze nella tutela e nella
promozione dei diritti dei lavoratori tradizionali e atipici, nella difesa,
nell’ampliamento e nelle riforme dello Stato sociale, nella rivendicazione
della laicità dello Stato e delle libertà civili. Il Sud del Paese non ha
colto una significativa discontinuità nelle politiche per lo sviluppo e per
l’occupazione. La questione meridionale è stata il tallone d’Achille della
nostra azione riformista. Ha così preso corpo un’offensiva politica e
culturale della Confindustria, della destra e della Lega tendente a
cancellare l’universalismo dei diritti del lavoro, i diritti della
contrattazione, i livelli salariali e i fondamentali diritti di
cittadinanaza.
Altrettanto evidenti sono le ragioni politiche della nostra sconfitta. Dopo
la vittoria del ’96 è stato troppo debole il sostegno all’Ulivo.E in
particolare la seconda fase dell’azione di governo – quella sociale e
riformatrice – ha preso corpo con molte timidezze e ritardi, rese confuse
dai ripetuti mutamenti di premiership, dalle continue divisioni e
conflittualità interne al campo del centrosinistra che offuscavano il
conflitto con la destra e che non sono state superate nemmeno nell’imminenza
della consultazione elettorale del 13 maggio. Gravi sono state le
responsabilità di Rifondazione comunista, benchè abbia influito anche un
nostro deficit di iniziativa politica
Sull’esito del voto hanno pesato anche ragioni ideali e identitarie,
incertezze e improvvisati revisionismi sul piano dei valori e dei simboli,
del linguaggio. Un appannamento del nostro antifascismo. Un indebolimento
del nostro rapporto con il progetto emancipativo contenuto nella prima parte
della Costituzione repubblicana, nei modernissimi principi in essa declinati
di libertà ed eguaglianza, di solidarietà e democrazia, di legalità e
rappresentatività. Abbiamo oscillato sulla difesa della legalità e sulla
questione morale. Abbiamo pagato un prezzo pesante anche sul terreno di
grandi riforme tipicamente liberali, come quelle della giustizia e della
riforma del sistema radiotelevisivo. In particolare è stato un errore
gravissimo la mancata risoluzione del conflitto di interessi.
La carta di identità della sinistra è sembrata spesso ridursi alla bandiera
della modernizzazione per la modernizzazione, dell’innovazione per
l’innovazione. Così hanno preso corpo la propaganda neoliberista,
l’ideologia populista e dai tratti autoritari delle destre, l’anticomunismo
senza comunismo.
Un Congresso di radicale svolta e discontinuità politica.
Per questo diciamo che senza una sincera e impietosa analisi delle ragioni
dell’insuccesso non ci sarà vera svolta nei Ds. Per questo diciamo che senza
un severo e rigoroso giudizio sulla qualità politica e sociale della
vittoria della destra e del governo Berlusconi non ci sarà una opposizione
credibile e autorevole nel Paese e nel Parlamento e non si tornerà presto a
vincere.
Non possiamo più oscillare su tutti i piani. Assai significativi, sono stati
dopo il voto i veri e propri sbandamenti di orientamento politico sulle
vicende del G8 e di Genova. Rischiamo di assistere smarriti alle
inquietudini profonde che attraversano le coscienze e la società civile di
fronte alle drammatiche ingiustizie e alle gravi lacerazioni prodotte dagli
attuali processi di omologazione e di globalizzazione. I primi mesi
dell’azione di governo dimostrano che il compito dell’opposizione non può
essere semplicemente quello di competere con il governo della destra sul
terreno dell’innovazione e della modernizzazione. Sarebbe una grave
sottovalutazione della natura del berlusconismo e dell’alleanza da esso
cementata.
Dobbiamo rendere più efficace e convincente la nostra mobilitazione nel
Paese, la nostra opposizione in Parlamento, le nostre proposte alternative
presso l’opinione pubblica.
Non basta una retorica del cambiamento, né un generico richiamo all’orgoglio
di partito.
Bisogna cambiare rotta, dicendo chiaramente quali sono i nostri alleati e
quali sono i nostri avversari, da che parte i Ds, la sinistra, l’Ulivo
stanno, quale partito intendiamo ricostruire.
Bisogna rinnovare con coraggio i nostri gruppi dirigenti, aprendo le nostre
fila a nuove generazioni di giovani, di donne, di lavoratori, di
intellettuali e combattendo ogni forma di cooptazione, di notabilariato, di
carrierismo politico.
Il partito si presenta oggi impoverito negli strumenti di formazione e
comunicazione, con una vita interna poco partecipata e democratica.
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