I DS e la globalizzazione
Il grave imbarazzo in cui si è trovato nei giorni del G8 il nostro Partito
dà la misura di quanta poca attenzione ci sia stata tra di noi,
continuamente alle prese con emergenze ed alchimie politiche, nel valutare i
cambiamenti che avvenivano a livello culturale tra le nuove generazioni.
Di fatto abbiamo avallato politiche neoliberiste, lasciando irrisolta
l'esigenza di contribuire a costruire un sistema di regole democratiche per
impedire che nella globalizzazione dell'economia prevalgano gli interessi
dei più forti. Come ad esempio con le politiche di aggiustamento
strutturale, imposte dal Fondo Monetario Internazionale a molti paesi in via
di sviluppo.
Le regole della globalizzazione non possono essere dettate dalla volontà dei
mercati. Né decise nelle stanze chiuse di istituzioni - a partire dal WTO -
che hanno regole e procedure non trasparenti e sono sottratte ad un efficace
controllo democratico, ma devono passare attraverso un rilancio del ruolo
dell'ONU in grado di offrire opportunità per tutti e non privilegio per
pochi.
Nel complesso della cultura di sinistra europea ed anche in quella italiana,
siamo ancora lontani dal comprendere questi cambiamenti, continuiamo a voler
affrontare la modernità della globalizzazione con gli strumenti politici e
le idee del secolo scorso, il Partito del Socialismo Europeo, cui molti di
noi anelano ispirarsi va rinnovato dando priorità all'universalità dei
diritti, impegnandosi nella tutela dell'ambiente e della biodiversità, la
difesa della salute, deve opporsi allo sfruttamento delle risorse anche
umane dei paesi del terzo mondo da parte dei paesi più industrializzati,
alle barriere protezionistiche che impediscono un giusto scambio e
ridistribuzione di ricchezze tra il nord e il sud del mondo, dire no alla
corsa agli armamenti.
Ho come l'impressione che sotto il muro di Berlino sia rimasta sepolta gran
parte della classe intellettuale della sinistra europea, incapace di guidare
la trasformazione, di analizzare, incanalare e fare proprie molte delle
ragioni dei giovani antiglobal, un nuovo strappo generazionale.
Insomma, come nel 68, una contestazione che nasce dalle stesse
contraddizioni interne alle società industrializzate, quelle che tutto
sommato traggono beneficio da questo stato di cose.
Approfondimenti segnalati:
Il meccanismo del debito
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24/11/2001 - Claudio Alpaca
Concordo con l'intervento.
Ritengo che, a dispetto della supponenza di noi europei e di tutti gli
autodefiniti occidentali qualcosa stia cambiando sotto i nostri occhi, anche
se impercettibilmente.
Seppure esecrabili i fatti dell'11 settembre avvenuti a New York hanno
dimostrato all'intera umanità l'intrinseca debolezza di una superpotenza.
Crollato il mito dei suoi servizi segreti, che non hanno previsto o meglio
visto quanto stava per succedere, crollato il mito militare, con la parziale
distruzione della fortezza inespugnabile del mondo, il Pentagono, crollato
il mito dell'economia un altro mito americano ed anche europeo sta
crollando: la democrazia, la democraticità che formavano lo status simbol di
un continente, anzi di due ove si includa l'Europa.
Ciò sta avvenendo ora, con risposta di tipo militare, bellico, ad atto di
terrorismo.
Rappresaglia, vendetta o asserita giustizia?
La vita dei civili afgani ed asiatici che in questi giorni stanno morendo
sotto i bombardamenti delle bombe "intelligenti", forse utilizzate da
persone che tali non sono, sono meno importanti di quelle dei civili delle
due torri di Manatthan?
Il valore delle vite si misura in base al portafoglio?
Mi sovviene una poesia del Quasimodo "sei sempre lo stesso uomo del mio
tempo", dalla clava alla carlinga, giustamente, nulla è cambiato.
L'uomo non potrebbe ragionare?
L'Europa non sta dimostrando di non esistere ancora quale soggetto politico,
quale continente?
E' nostro compito, in un contesto europeo, mondiale, agire per il rispetto
dei valori di libertà, uguaglianza e fraternità, consci che l'uguaglianza è
costituita dall'insieme delle differenze di espressione, dal rispetto di
ogni diversa convinzione che reca comunque allo stesso risultato finale.
Il colore della pelle non determina la sostanza del contenuto.
Non è razzismo anche solo pensare che gli altri siano inferiori a noi se
diverso il loro modo di interpretare la cultura, che è e rimarrà, in quanto
tale, una sola, o se diversi il colore della loro pelle o i loro usi e
consumi?
Globalizzazione significa questo, significa raggiungere un colloquio tra
culture e modi di pensare, al fine di ottenere un'interazione, un
potenziamento delle capacità, un arricchimento culturale.
* * *
11/11/2001 - Carlo Turco
Concordo solo in parte con A. Scanferla. Nel senso, soprattutto, che con
riguardo a possibilità, tempi e prospettive di riforma dell'ONU bisogna
essere realisti. Ergo, un impegno notevole e con prospettive meno lontane ed
aleatorie andrebbe profuso nell'adeguamento degli strumenti già esistenti -
ad iniziare dal WTO - che esprimono una qualche forma di "internazionalità"
del governo dell'economia mondiale: con tutti i suoi limiti certamente
migliore di nessun governo (che significherebbe, automaticamente, dominio
incontrastato e privo di trasparenza dei più forti).
Penso che, più in generale, sulla globalizzazione dovremmo anzitutto
chiarirci a fondo le idee per sbarazzarci di luoghi comuni, approssimazioni
e superficialità. Gli slogan possono risultare utili ed efficaci nelle
manifestazioni: ma per contrastare efficacemente le politiche di destra in
questo settore ci vuole altro.
A me sembra che un'ottima traccia di problemi, situazioni, possibili linee
d'azione, emergano con chiarezza da una serie di articoli di Ferdinando
Targetti pubblicati sull'Unità dell'11 settembre, del 6 novembre e del 9
novembre, che penso sarebbe assai utile per tutti tener presenti.
21/10/2001 - Giuseppe Ortolano
Concordo con l'intervento. Credo che per non farci travolgere dagli eventi,
non annaspare tra l'acritica adesione ai bombardamenti USA e lo sterile
pacifismo sia necessario riprendere la riflessione su questo mondo, le
politiche del FMI, il peggioramento delle ragioni di scambio del sud del
mondo consapevoli che oggi questo modello di società non è il migliore
possibile.
Credo che sia compito dei DS riprendere la riflessione e l'elaborazione,
ridisegnare un progetto per un mondo più giusto e sicuro per tutti.
un saluto luigi curioni.
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